Sul Monte Athos


Sul Monte Athos

Sul Monte Athos - Ediciclo Editore | Fabrizio Ardito
Sul Monte Athos – Ediciclo Editore | Fabrizio Ardito

Ediciclo editore

Anno: 2015

formato 14×18 cm

pagine 192

prezzo € 15,00

isbn 978-88-6549-145-4

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Intervista su MOUNTAINBLOG.IT

 

Ero molto curioso, prima di partire verso Monte Athos. Ne avevo sentito parlare e, anche se la piccola repubblica monastica si trova a poco più di due ore di macchina da Salonicco, mi sembrava lontanissima. Poi, nel corso del nostro primo viaggio (insieme ai compagni camminatori degli ultimi 15 anni: Gaetano, Giacomo e Federico), eravamo rimasti colpiti dalla bellezza, solitudine e spiritualità di alcune delle più importanti case monastiche del Monte. Ma anche dalla vetta triangolare dell’Athos che brillava sotto il sole di giugno. Durante un viaggio successivo l’obiettivo, oltre che le lunghe passeggiate sulla punta della penisola, era quindi diventato quello di raggiungere la vetta da dove, secondo il grande e caustico viaggiatore Robert Byron, i più fortunati hanno avuto la ventura di scorgere al di là dell’Egeo la maestà delle cupole di Santa Sofia a Istanbul.

 

 

La punta della penisola: Megisti Lavra e Prodromos

“Just sitting back trying to recapture

a little of the glory of, well the time slips away

and leaves you with nothing, mister, but

boring stories of glory days”.

Bruce Springsteen, Glory Days

 

Mi sono svegliato presto, stamattina. Nella nostra camera all’interno della foresteria di Lavra tutti dormono ancora, sia i ragazzi che i due coinquilini tedeschi che ieri sera, per santificare il loro arrivo nel più antico monastero dell’Athos, hanno schiamazzato per lungo tempo, complici anche due bottiglie di vino rosso contrabbandato negli zaini. Nei cortili che circondano la chiesa dedicata all’Annunciazione e a sant’Atanasio, il fondatore, non si vede nessuno. Solo un monaco, in un laboratorio, sta lavorando a delle tavole di legno, mormorando una preghiera mentre i trucioli di legno si accumulano tra i suoi piedi. Con un potente cigolio il portinaio spalanca un pezzo alla volta, e un catenaccio dopo l’altro, l’imponente portone e, passando sotto l’arco del vestibolo, sono preceduto da un monaco piccolissimo e anziano che cammina piano piano. Fuori, alle cinque e mezzo del mattino, la luce inizia ad aumentare sul mare, verso oriente e, mentre il monaco si siede su una panchina e viene immediatamente circondato da un gran numero di gatti festanti, mi vado a sistemare sotto la tettoia che guarda verso l’Egeo. Qualche altro religioso, che evidentemente stamattina non è andato ad assistere alla funzione, esce dall’antico arco diretto verso i campi dove, dopo qualche minuto, si mette a zappare o a sarchiare i grandi orti del monastero. Non so come mai, ma stamattina mi sento un po’ malinconico, pur se seduto in un luogo di una bellezza unica: davanti a me si allungano le mura chiare della Grande Lavra, mentre in basso, più di un centinaio di metri sulla mia sinistra, la strada verso l’imbarcadero serpeggia tra la macchia profumata fino agli scogli. Il tempo passa, e non solo in questa splendida mattinata sulla costa rocciosa della Calcidica, e le parole di una canzone che mi gira nella testa da un paio di giorni non fanno che affondare il coltello nella piaga. «Il tempo scivola via, e ti lascia senza nient’altro che storie noiose dei giorni di gloria». Già. Mi viene in mente che, nel 1985, quando Bruce Springsteen ruggì per la prima volta in Italia la sua Glory Days su un pubblico attonito e di colpo perdutamente innamorato, a un tratto mi ero reso conto di cosa avrebbe voluto dire invecchiare, un poco alla volta, cercando di darsi un tono con le storie, ovviamente parecchio romanzate (non lo facciamo tutti?), delle nostre prodezze di un passato oramai appannato. Fatto di grotte e abissi, carburo e tanto freddo, lunghi viaggi e idee strampalate, risate e malinconie. Poi, per fortuna, il miracolo quotidiano dell’alba scaccia via tutti i pensieri: il sole sorge glorioso sul mare e il bastione imponente di Lavra si accende di un color arancione caldo e profondo. Alle mie spalle, la vetta dell’Athos brilla, illuminata da tempo, altissima nel cielo, con la sua nuvoletta di condensa che la copre come un cappellino con la veletta. Ed è giunto il momento di rientrare nel cortile, per vedere cosa la giornata ci riserverà. Davanti al portico della chiesa di Lavra, una splendida e antica vasca di marmo circolare di più di due metri di diametro è alimentata da una strana fontanella di metallo, collage di diverse figure di animali di epoche diverse, e sovrastata da una delicata cupola scolpita. Nelle cappelle che circondano il katholicon, molti affreschi parlano dell’antica ricchezza di quest’insediamento monumentale, e capitelli e frammenti di lapidi scolpite ornano architravi e aiole. A Lavra deve vivere un monaco particolarmente amante del giardinaggio, visto che ogni angolo libero è ornato da rose rampicanti che, in questa mattina di maggio, sono tutte fiorite e profumate. A un certo punto, da una torretta che sostiene una dozzina di campane, si scatena un concerto chiassoso e dissonante, con un monaco agile e robusto che si affanna a tirare le corde di campanelle e campanone di tutte le forme e dimensioni. È il segnale dell’ora della fine della funzione e i monaci che escono uno alla volta dalla penombra della chiesa si fermano con deferenza davanti all’abate che offre a ciascuno un mestolo d’acqua dalla fontana. Primo monastero a nascere sulla Montagna, secondo le cronache nel 963, Lavra non ha mai perduto il suo ruolo fondamentale nella storia e nelle gerarchie atonite, in cui si trova al primo posto. «Per immaginarvi la creazione di Atanasio qual è oggi e qual è stata per circa mille anni» scrisse Byron, ammirato da questo luogo ma sbagliando però ampiamente la quota della vetta, «con le sue torri e i suoi magazzini, le sue chiese e le sue cappelle, il refettorio, la biblioteca, la sala del tesoro, la casa per gli ospiti, le fontane, gli altari, le aiuole e le infinite file di celle, il tutto raggruppato in un unico recinto fortificato, cercate di rappresentarvi il picco stupendo che si leva sull’acqua per un’altezza di 1935 metri: e su uno sperone, dove si sporge quasi per stringere un patto con l’altro elemento, una piattaforma inclinata ed erta, alta ancora 150 metri dalla spiaggia, coltivata a giardini».

 

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