Le fortezze dell’eresia


Le fortezze dell’eresia

Le fortezze dell’eresia – Touring Editore | Fabrizio Ardito

Touring Editore

Anno: 2007

Pagine: 174

Dimensioni: 18 x 13

EAN: 9788836537945

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Dai vertiginosi dirupi dei Pirenei lo sguardo abbraccia il dolce paesaggio della Linguadoca e il tempo lungo della storia. Laggiù, all’orizzonte, l’Occitania medievale dei trovatori, popolata di dame e cavalieri, nobili fieri e ”pericolosi eretici”. Quei catari contro cui nel XIII secolo la chiesa di Roma scatenò una sanguinosa crociata. Per arrivare fin qui, il cammino è lungo. Oltre duecento chilometri a piedi dal Mediterraneo alle torri del castello di Foix attraverso vigne, boschi, nuvole e sole, con la fatica della salita nelle gambe e le sferzate del vento sul viso. Così, tappa dopo tappa, pagina dopo pagina, Fabrizio Ardito ripercorre le vicende di quei ‘buoni cristiani”…

 

Fin qui, come al solito, la presentazione libraria. Devo però confessare che questo librino, che è sopravvissuto senza exploit negli scaffali polverosi delle librerie più affezionate per un certo numero di anni, mi è sempre stato particolarmente caro. Anzitutto perché è la storia della mia scoperta del mondo degli Albigesi o Catari e del titanico scontro politico a cui si trovarono in mezzo, in parte per caso. Poi perché è il racconto di un viaggio che si svolge il luoghi molto belli, spesso solitari, sempre piacevoli (e rallegrati da una buona cucina). Infine perché la storia dei Catari, se riletta con gli strumenti che io sono riuscito a scovare, è una tragica anticipazione di tante altre fosche vicende che hanno segnato la storia della civiltà e delle religioni. Troppo? Non credo: provate a leggere l’introduzione…

 

0 – INTRODUZIONE: A QUÉRIBUS

 

Il Creatore, allorquando plasmò adorne forme e nature,

Per quale ragione mai le gettò sotto imperio di morte?

Se ben riuscita era l’Opra, perché mandarla in frantumi?

E se mal riuscita era, di chi, dunque, la colpa?

 

Omar Khayyâm – Quartine

 

Il sole è alto, quando decido di riprendere il cammino dopo una sosta davanti alle pietre delle poche rovine dell’abside del priorato di Molhet. E soprattutto dopo una mezz’ora di quiete all’ombra della sua enorme quercia scura. Il sentiero polveroso e bianco sale ripido senza molta pietà per le mie gambe verso uno spartiacque lontano, dove il vento e il panorama sulla Linguadoca mi ripagano della fatica. E mi gelano come al solito il sudore sulla schiena. Al termine della cresta, colorata di verde chiaro dagli arbusti della macchia, svetta la mole spigolosa di uno dei più eccezionali castelli del mondo. Una lunga mezz’ora, per una mulattiera assolata in compagnia di un branco di cavalli bradi e socievoli, mi porta finalmente ai piedi del castello di Quéribus. La sola roccaforte dell’eresia dei Catari che riuscì a resistere fino alla fine alle armate cattoliche sui versanti scoscesi dei Pirenei. L’ultima fortezza che protesse gli uomini e le donne che, sui nostri lontani libri di scuola, avevamo studiato con il nome misterioso di eretici Albigesi. Ma chi erano questi Albigesi o Catari che tra loro si chiamavano solamente bonshommes e bonnes femmes? Cosa li spingeva a percorrere, giorno dopo giorno, le valli e le colline che dalla Provenza costeggiano le grandi montagne fino alla piana di Tolosa, per predicare la parola del loro Dio? Cosa c’era di così terribile nelle loro idee da diventare il pretesto per due crociate che avrebbero devastato la Linguadoca, la sua raffinata civiltà occitana, le armonie dei suoi trovatori e la cultura dell’amor cortese nel 1209 e nel 1226?

Nelle parole dei cattolici dell’epoca che parlano dei bonshommes la paura sembra essere l’accento più marcato. “Il pestilenziale contagio dell’eresia si è talmente diffuso” scrisse l’ambiguo conte di Tolosa in un’epistola indirizzata al papa “che ha gettato la discordia fra coloro che erano uniti, dividendo, ahimè, il marito e la moglie, il padre e il figlio, la suocera e la nuora. Persino quelli che sono rivestiti del sacerdozio sono corrotti dalla sua infezione. Le antiche chiese, che sino a ieri erano rispettate, vengono abbandonate e cadono in rovina. Si rifiuta il battesimo, l’eucaristia è esecrata, la penitenza è disprezzata, si negano ostinatamente la creazione dell’uomo e la resurrezione della carne…”

Contro gli uomini e le donne dell’eresia catara si mossero eserciti e predicatori, cavalieri in armi e santi come il grande e rispettato Bernardo di Chiaravalle. Lo spagnolo San Domenico li combatté senza grande successo con la parola e il dibattito, con l’esempio e la dottrina negli anni tra il 1205 e il 1209, prima di essere forzato ad accettare il fatto che, in fondo, la spada e le fiamme dei roghi avrebbero risolto il problema occitano meglio e più in fretta. Non violenti per dettato della loro religione, gli eretici vennero sterminati nel giro di un secolo, per scomparire insieme a tanti altri dissidenti nel gorgo dell’oblio del tempo. Lasciando poche testimonianze del loro pensiero, già che la storia – da che mondo è mondo – l’hanno sempre scritta i vincitori. “Ci sono due chiese” aveva spiegato l’eretico Pèire Autier al suo discepolo Pèire Maury, che raccontò la sua conversazione, in catene davanti ai severi domenicani del tribunale della santa inquisizione “una fugge e perdona (Matteo, 10, 23), l’altra possiede e stermina. E’ quella che perdona che segue la retta via degli apostoli; essa non mente né sbaglia. La chiesa che possiede e tortura è invece la Chiesa romana”.

 

Nel fedele quaderno nero che ho portato nello zaino, chiuso nella sua custodia impermeabile con tanto di velcro scricchiolante, ho trascritto una delle preghiere più importanti delle antiche chiese catare del sud della Francia. Quella che veniva recitata dall’assemblea dei credenti che si riuniva dove era possibile: in una casa, in un bosco, in un laboratorio di tessitori. Già, gli Albigesi avevano conservato il concetto che l’ecclesia era una parola che definiva solo l’assemblea dei fedeli, non il monumento di marmo, colonne e oro che i cattolici chiamavano nella stessa epoca chiesa, cattedrale, abbazia. Una nube passa sul sole, creando un effetto serpeggiante di luci e ombre sul panorama vasto di rocce, valli e campi che si stende ai piedi della mole spigolosa e slanciata del castello di Quéribus. Qui, dopo la fine della chiesa eretica segnata dal rogo di più di 220 fedeli, diaconi e vescovi che erano stati bruciati in massa dopo la resa della rocca di Montségur nel 1244, il cavaliere occitano Chabert de Brabaira riuscì a resistere ancora per dieci lunghi anni alle forze congiunte del re di Francia e della chiesa di Roma. Per conservare il suo castello, la sua dignità di feudatario (cattolico, non cataro) e la vita del predicatore eretico Pierre Paraire, posto sotto la sua protezione e ospitalità, quindi intoccabile.

 

Il sole, che fa di nuovo brillare la macchia profumata delle Corbières, illumina finalmente anche la mia lettura della preghiera degli eretici.

 

Padre Nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome.

Venga il tuo regno e sia fatta la tua volontà in cielo come in terra.

Dacci oggi il nostro pane che è al di sopra di ogni cosa.

E perdona a noi i nostri debiti

come noi perdoniamo ai nostri debitori.

E non indurci in tentazione, ma liberaci dal Malvagio” (1)

 

E’ strano, penso, mentre mi carico di nuovo in spalla lo zaino rosso per iniziare la discesa verso la valle lontana di Cucugnan, oltre cui mi attendono altri castelli, abbazie e le lunghe e affascinanti storie della lontana crociata albigese, dei suoi vinti e vincitori. L’orazione che i buoni uomini e le buone donne della chiesa catara dell’Occitania – i terribili mostri che avevano creato la “sinagoga di Satana”, evocata dalle parole delle epistole infuocate di papa Innocenzo III – mi sembra familiare, molto familiare. Ma forse alla mia età, e soprattutto con un bel po’ di centinaia di metri di dislivello e di acido lattico nelle gambe, la memoria può fare brutti scherzi. Un tornante, un altro, un terzo. E mentre cerco di prestare attenzione alle pietre scivolose della discesa verso Cucugnan (d’altronde me la sono cercata: un cartellino segnaletico mi aveva avvertito che si trattava di un “sentier difficile”) alla mente tornano un po’ alla volta i versi di un poeta contemporaneo, inorridito davanti alla potenza dell’odio che si può scatenare nella mente di un uomo in nome di un qualunque Dio. Oggi come nel XIII secolo. E, purtroppo per noi e per i nostri figli, forse oggi ancora di più.

 

Every woman and every man

want to take a righteous stand.

Find the love that God wills

and the faith that He commands.

I’ve got my finger on the trigger

and tonight faith just ain’t enough:

when I look inside my heart

there’s just devils and dust” (2)

 

Alle mie spalle, mentre cammino in discesa, le mura del castello di Quéribus spariscono lentamente tra le creste e l’aria opaca di questo pomeriggio francese caldo di sole, sudore e polvere. Ma i demoni, quelli, esistono solo rinchiusi all’interno della nostra mente.

 

 

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(1) Pater cataro, tratto da “Scrittori anticonformisti nel medioevo”, traduzione di René Nelli.

 

(2) Devils and Dust, Bruce Springsteen

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