Arcipelago ponziano


Arcipelago ponziano

 

Arcipelago Ponziano
Arcipelago Ponziano – DeAgostini | Fabrizio Ardito

De Agostini

Anno: 2002

formato 13 x 20

Anno di pubblicazione 2002

Isbn 9788841800577

Acquistalo su Giunti al Punto/Amazon

 

 

Mamma mia come passa il tempo. Anche se conoscevo abbastanza le isole ponziane, la realizzazione di questa guidina per De Agostini era stata un’occasione unica per passare delle giornate solitarie, nella cornice splendida delle isole a fine maggio, a girare, fotografare e ficcare un po’ il naso dov’era possibile. Da quest’esperienza ho tratto la conclusione che Ventotene, Ponza e Palmarola, con buona pace di chi ama il caldo del sole accecante, sono dei magnifici brandelli di terra. Da visitare, possibilmente, non molto lontano dall’estate…

Delle ore trascorse a Ventotene e, soprattutto, a Santo Stefano, ho molti ricordi, tra cui quello, fortissimo, dell’epopea tragica del confino.

 

“Spesso, le isole sono state scelte in tutto il mondo come luoghi di detenzione e di pena. Alcuni dei penitenziari più famosi e leggendari sono stati fondati su scogli e isolotti, dal Chateau d’If del Conte di Montecristo a “The Rock” di Alcatraz. Le isole pontine, e soprattutto Ventotene, però, hanno avuto una sorte più sfortunata. La fama di Ventotene in epoca romana è dovuta non tanto alla realizzazione del porto oppure alla splendida villa di Punta Eolo, quanto alla sorte di mogli, parenti e figli di una serie di imperatori che, da Augusto a Traiano e da Caligola a Nerone. Gli storici classici narrano tutte le vicissitudini dei confinati d’alto rango ed un brano dello scrittore Dione Cassio, che relativamente ad Agrippina e Livilla, narra che Caligola le relegò “nelle isole di Ponza”. Ciò fa pensare che le due fossero state separate e che anche Ponza, quindi, venisse usata dai romani per il confino. Dopo la parentesi romana, all’arrivo dei Borboni carcerati e forzati furono utilizzati per costruire le strutture che avrebbero mutato il volto alle isole. I prigionieri vennero alloggiati nella necropoli del Bagno Vecchio di Ponza e nella Cisterna dei Carcerati di Ventotene. Anche il carcere di Santo Stefano venne costruito da prigionieri e, dal 1795, divenne un luogo di sofferenza e prigionia, la cui atmosfera terribile è stata tramandata dalle pagine scritte da Luigi Settembrini. Ma la storia delle reclusioni sulle isole non era ancora finita. In seguito alle leggi sulla sicurezza nazionale del 1926, dal 1928 a Ponza e Ventotene cominciarono ad affluire gli oppositori del regime. Istituita nel 1932, la “colonia di confino di Ventotene” sostituì in modo organizzato le sistemazioni di fortuna dei primi esiliati. In seguito ai problemi dovuti all’affollamento di detenuti sia politici che comuni, dal 1934 le misure di sicurezza vennero rese più dure e stringenti anche in base alle conclusioni di un ispettore del Ministero dell’Interno, Buzzi, il quale scrisse che “non si poteva fare alcuna assegnazione sul ravvedimento dei confinati politici“. Il nuovo campo di reclusione di Ventotene, una specie di lager mussoliniano, venne costruito nel 1939. Il nucleo di confinati più numeroso era costituito dai membri del Partito Comunista, tra cui erano Secchia, Di Vittorio, Longo, Terracini, Ravera, Spinelli, molti anche i giellini di Giustizia e Libertà (Calace e Rossi) ed i socialisti (Pertini)”.

 

 

Alle otto, quasi tutti (i confinati) sono fuori. Seguiamone uno. Lemme lemme se ne va su per la scala che conduce a via Muraglione. Ogni cinque o dieci passi saluta qualcuno. ‘Ciao’, ‘Salute’, ‘Salve’, ‘Buongiorno’. Ogni formula rappresenta un grado di intimità. Se è provvisto di spiccioli, entra in una mensa e beve due soldi di caffè (amaro verso la fine del mese, verso il principio può darsi che porti in tasca un cartoccio di zucchero). Passa davanti al tabaccaio (in questi ultimi mesi sprovvisto di tabacco, sigarette, cartine e fiammiferi, spesso anche di sale) passa davanti all’ufficio postale, osserva la biblioteca e infila via degli Ulivi. Qui ci sono due caffè, due fruttivendoli, alcuni calzolai (confinati), un arrotino (confinato)…Per anni e anni ottocento paia di scarpe battono e ribattono il perimetro della nostra gabbia due o tre volte al giorno. Abbiamo dimenticato di segnalare i limiti: una diecina di volte ci siamo imbattuti in un cartello di legno grezzo con una scritta ‘limite di confino’ accompagnati, almeno sei da un milite con fucile ad armacollo e cartucciera alla cintura“.

 

Alberto Jacometti, Ventotene, Padova, 1974.

Condividi