Un fotografo vive dei suoi lavori quotidiani, ma anche del suo archivio. Così mi sembra giusto alternare su questo sito nuovi lavori e vecchi ricordi. Certo, il mondo è molto cambiato nel frattempo (e non sempre in meglio, direi), ma penso valga la pena di dare un’occhiata anche alle nostre spalle…
Nell’estremo sud dell’Algeria inizia il grande nulla del Sahara. Montagne divorate dall’erosione, letti di antichissimi fiumi che brillano bianchi nel sole. E, tra pianure sassose che sembrano perdersi all’infinito, avanzano in silenzio le dune dei grandi erg sabbiosi. L’ambiente è estremo, arido, ventoso: la negazione del nostro mondo – colorato e umido – si respira nel vento.
Ma, a guardare con attenzione, il deserto rivela un passato sorprendente. Quasi ogni roccia, ogni riparo, nascondono resti della presenza umana. Qualche vaso, punte di freccia, graffiti di tutte le epoche sulle rocce calcinate dal sole implacabile o nei piccoli recessi dove l’ombra indugia per qualche ora. Seduti nella calura del mezzogiorno, quando spostarsi è difficile e troppo faticoso, si può provare ad immaginare il Sahara di diecimila anni fa. Le ricostruzioni degli scienziati concordano su vari punti: qui, tra il lento scorrere verso sud di grandi fiumi scomparsi, la savana era popolata di erbivori, di predatori, di uomini dediti alla caccia e all’allevamento. Ogni anno, nella stagione più calda, le comunità di pastori migravano verso il verde degli altipiani, ancora più ricchi d’acqua e di vegetazione.
E proprio sugli altipiani, meta di transumanze stagionali e, con l’avanzare della desertificazione anche dimora stabile delle antiche popolazioni della zona, oggi sono nascoste le tracce più emozionanti della storia degli uomini del Sahara.
Una salita lenta e zigzagante conduce sul Tassili n’Ajjer (l’Altopiano dei Fiumi), non molto lontano dalla piccola città di Djanet. Di colpo, alle curve del sentiero si sostituisce il nulla dell’altopiano, nero di arenaria bruciata dal sole, piatto e vuoto all’infinito. Ore, minuti, giorni di cammino sul Tassili sembrano sempre uguali, con le pietraie che si alternano a letti di antichi fiumi e torrenti, e, ogni tanto, pinnacoli verticali segnati dal vento e separati da piccole dune di sabbia. Di colpo però, tra le rocce, fanno la loro comparsa le pitture, ricordo di un’epoca lontana e diversa, quasi una fedele registrazione del gigantesco cambiamento climatico e geografico avvenuto negli ultimi diecimila anni: un periodo, in fondo, brevissimo per la storia del nostro pianeta. Artisti, sciamani, cacciatori. Realtà e sogno si inseguono sulle pareti color ocra in centinaia di pitture rosse, nere, bianche, a volte dorate.