Lago di Aral


Lago di Aral

Nel corso di un viaggio in Unione Sovietica, nel 1989 avevo sentito parlare per la prima volta della tragedia del lago di Aral. Cioè della lenta ma inesorabile scomparsa di vero e proprio un mare interno nel territorio della Repubblica Autonoma del Karakalpak, all’interno dell’Uzbekistan al confine con il Kazachstan. Le dighe costruite sul grande fiume Amu Dar’ya, con lo scopo di irrigare enormi e inutili estensioni di deserto, avevano bloccato quasi del tutto l’afflusso idrico al lago. Dando il via al suo prosciugamento. Nel 1968 la superficie dell’Aral era di circa 68.000 chilometri quadrati, mentre oggi sfiora a malapena i 6.000. Un anno dopo, in una decina di gelide giornate autunnali, ero riuscito ad aggirarmi tra Muinak – vecchia base della flotta di navi da pesca – e i paesi vicini. Per toccare con mano l’impressionante spettacolo di un lago scomparso, con le sue navi adagiate ad arrugginire sul fondo. Il vento fortissimo faceva sollevare nubi di polvere chiara dal deserto, composte principalmente dai fertilizzanti trasportati nei decenni nelle acque del lago dal fiume. Queste tempeste tossiche, che ancora oggi gli astronauti osservano dallo spazio con la forma di un lungo baffo bianco che parte dalle spoglie del lago, avevano inquinato a tal punto tutto l’ambiente da rendere necessaria la costruzione di nuovi reparti nell’ospedale di Muinak, tutti dedicati a bambini affetti da malformazioni gravissime. Anche se i Kodachrome dell’epoca sono stati un po’ segnati dal tempo, penso che possano rendere l’idea della distruzione totale di un intero mondo, così come ho avuto la ventura di osservarla.

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